Il linguaggio dell’apocalisse è grammaticale o sintattico? Esiste una costellazione fissa di aggregazioni oppure l’apocalisse è istanza anomica, acefala, anarchica per natura perché può assumere qualsiasi volto e vestito? Apokalips non risolve l’enigma e questo è un punto a suo vantaggio. Resta coerente all’indicibile di cui tratta, confonde ancor di più le babiloniche acque, spezza la palude nella Città del dominio. Gli artisti di Apokalips, così imprevedibilmente e felicemente estranei fra di loro, si ritrovano nel comune e aristocratico pudore che impedisce loro di cadere nel manierismo. Anche quando veicolano aggregati tratti dal Libro di Giovanni, come le sette stelle nella mano destra, il Re anticristico infante, e una algida Babilonia, la forza ideativa è autorevole tanto da stare in piedi da sola, anzi le loro opere si fanno inconsapevoli profezie sulla profezia quale visione/racconto. Non è la Rivelazione che decritta le opere, ma sono esse stesse che retroagiscono.
Dal testo “I luoghi di Apokalips” di Aldo Pioli.