“Nella sua ultima produzione Giò di Busca (Milano, 1959) mette in scena opere completamente d’oro, colore oro e foglia d’oro. Si tratta di un ciclo di opere materiche (Lave d’oro), nelle quali le pennellate si sovrappongono, creando spazi fantastici tra i quali appaiono, a volte, altre cromie come il verde, il rosso e il nero, o le pietre dure che sembrano nascere da questa materia magmatica, vissuta, la cui ispirazione nasce dai paliotti d’altare della Chiesa della Salute a Venezia. […]
I suoi ultimi lavori, gli ori, appunto, ci parlano di un’arte “immateriale”, per usare un’espressione di Yves Klein, di una spiritualità che trascende la volontà dell’artista, e che cerca di interpretare quello spazio vuoto, quello iato tra materia e pensiero, quello stesso vuoto che non si può riempire solo con la ragione”.
Dal testo “Giò di Busca. Lave d’oro – Labirinti di emozioni” di Vittoria Coen