VALENTINA BIASETTI da Casatico di Torrechiara (Parma)
La tua nuova ritualità quotidiana…
Per me non è una novità chiudermi in studio in autoisolamento volontario come processo di creazione, ma quando la scelta cede il passo a una imposizione (necessaria) i parametri cambiano. In questo periodo te lo chiedi a cosa possa servire entrare in studio ogni giorno, sedersi al tavolo da disegno e lavorare, una ritualità che prima sembrava necessaria e che ora rischia di assumere la retorica di autoindulgenza. Ma credo che sia vitale reagire e sfruttare questa opportunità per riflettere su quale sia davvero il ruolo dell’artista e le sue necessità espressive. Sono giunta alla conclusione che la mia ritualità non cambia, anzi si rafforza. Continuo a disegnare per cercare dentro al mio demone una visione più intima delle cose.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Da questo perimetro di stanza breve che è il mio studio, ero solita pensare che malefici e inganni potessero restare fuori ma in questi giorni mi sono resa conto che non è così: i muri sembrano più stretti, gli oggetti che mi circondano assumono nuove identità, nuovi pesi, molti pensieri. Non è cambiato il mio modo di lavorare, ma lo sguardo che vuole indagare sulle cose.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Il tempo che passa sembra sospeso, confonde passato futuro e presente, quel tempo fracassoso, abitudinario, si è ora sovvertito in solitudine, dove ogni parola o gesto hanno una eco profonda. Forse è per questo che in questa quarantena ho cominciato a disegnare clessidre che sgranano i ricordi mischiandoli all’inquietudine. Le chiamo Clessidre ma sono oggetti di uso comune, come una brocca, un bicchiere o un vaso di fiori, che cedono il passo della loro identità casalinga per diventare raccoglitori di questo tempo sottovuoto.
Non è possibile dividere il tempo, il tempo probabilmente è solo pensiero e ogni “oggetto clessidra” è testimone del mio presente.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Le limitazioni e le mancanze oggi sono il pane quotidiano sotto molti punti di vista, da sempre ho a che fare con una limitazione: il disegno. Il disegno è la limitazione più utile che conosco per aprire nuove strade perché disegnare qualcosa con dieci linee richiede molta più immaginazione che disegnarla con venti, e dove tutto è mancanza inventarsi qualcosa diventa lecito. In questo periodo quello che mi manca non è la libertà, ma la leggerezza perché quando sento le ambulanze che gridano nella strada a fondo valle è impossibile essere leggeri.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Quando penso a come sarà penso che ci sono infinite possibilità in una esistenza. Ci sono fino a quando non avrai esaurito il tuo boccettino di bolle di sapone. Quando tutto finirà, non avrà mai finito di esistere nella nostra memoria, e ce lo porteremo dentro come una esperienza fortissima. Quello che mi auguro è che possiamo avere occhi più belli, più puliti per saper ammirare le nostre bolle di sapone.
Valentina Biasetti (Parma, 1979). Ho sempre interpretato il disegno come desiderio di esistenza, la matita accarezza il foglio e intreccia segni, campiture, lotte e echi di storie: esplorando chirurgicamente ogni singolo dettaglio, lo isolo dalla sua dimensione, ne modifico relazioni e identità, nel tentativo di trasformarlo e di renderlo IN-forme. È questo il processo che accomuna le mie ultime serie di lavori come le “caverne anatomiche” dove la negazione dei corpi ritaglia lo spazio all’invisibile o le “Clessidre”, oggetti di uso comune, come una brocca, un bicchiere o un vaso di fiori, che cedono il passo alla loro identità casalinga per diventare raccoglitori e testimoni di un tempo sottovuoto. Guardare dentro le cose per poi cercare di attraversarle sovvertendone la sostanza.
www.valentinabiasetti.it