Tiziana Pers da Trivignano Udinese (UD)
La tua nuova ritualità quotidiana…
Per me la quarantena ha significato una forte richiesta di energie.
Da quando è iniziato il lockdown, a differenza della maggior parte delle persone che non possono uscire di casa, quotidianamente devo andare a prendermi cura degli animali salvati dal macello, delle piante e degli alberi che si trovano a RAVE. Si tratta di un’attività che svolgo abitualmente, e che rientra nella mia pratica artistica: RAVE East Village Artist Residency è un metaprogetto partecipativo ideato insieme a mia sorella Isabella, e gli animali sono stati sottratti alla macellazione tramite mie azioni performative, così come alcuni alberi. Ma in questo momento complesso le volontarie e i volontari che di solito ci danno una mano, e in particolare in primavera (poiché è il periodo del risveglio) non possono venire, e quindi devo occuparmi di molti aspetti da sola.
Oltre a questo seguo mio figlio Ivan, di dieci anni, che sta attraversando il suo ultimo anno di scuola alle primarie, e non potrà vivere tutti quei riti di passaggio e di saluto in un momento cruciale del suo percorso. E in questo lavoro. Sto lavorando molto. Dipingo, penso, e progetto. Più o meno senza sosta. Spesso anche di notte.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
È più intenso, in un certo senso. Come quando si grida dentro a un salone spoglio e vuoto: l’eco si fa più forte. Credo comunque che avremo bisogno di tempo per metabolizzare davvero ciò che ci sta succedendo come specie.
Contestualmente mi rendo conto che da circa 20 anni la mia ricerca è focalizzata attorno alla complessa questione del rapporto tra gli umani e i non umani, rapporto che, nel suo disequilibrio e degradazione, ha condotto in modo diretto al salto di specie del covid-19, e alla sua diffusione. Il coronavirus è passato infatti alla specie umana mediante lo spillover, ovvero un salto di specie (presumibilmente da pipistrello) all’interno di un wet market, mercati all’aperto così definiti perché gli animali (selvatici e non) vengono ammassati vivi all’interno di gabbie e macellati davanti agli acquirenti, in base all’acquisto.
Così come il covid-19, molti altri virus (ebola, sars, nipah, etc.) sono zoonosi connesse sia al commercio di selvatici che agli allevamenti intensivi (pensiamo anche all’influenza suina, o alla BSE, ovvero morbo della mucca pazza, all’aviaria, etc) e alla distruzione degli habitat, deforestati per far spazio a coltivazioni destinate ai mangimi per i nostri allevamenti, fenomeno che ha spinto i selvatici rimasti ad approssimarsi agli insediamenti antropizzati. Poi, come è stato recentemente dimostrato, gli allevamenti intensivi con le loro cariche batteriche hanno costituito terreno fertile per la trasmissibilità del virus, soprattutto laddove sono più diffusi.
Al tempo stesso in questa strana quarantena collettiva, chiusi nelle nostre case, possiamo forse sentire la limitazione della libertà, e comunque con ogni comfort e collegati virtualmente con i nostri affetti. Ecco, questo forse ci può far pensare ai milioni di animali reclusi negli allevamenti, confinati in gabbie spesso grandi quanto il loro stesso corpo, separati brutalmente dai propri figli, fatti nascere, crescere, e morire, per diventare cibo per noi, o indumenti, o divertimento. E mentre noi non possiamo uscire dai luoghi dove siamo confinati, al di fuori, sulle strade e nelle città, altri animali non umani si stanno riappropriando di quegli spazi che erano stati loro sottratti.
Quindi i temi che sto affrontando con i miei nuovi lavori non sono affatto mutati, anzi. Ciò che cambia è la densità dei giorni, non interrotti da viaggi, mostre o eventi.
Un ulteriore aspetto è che nelle ultime settimane, nello stop improvviso dato al sistema dell’arte, diverse curatrici mi hanno invitata a prendere parte ad altri progetti on-line: pertanto immagini e contributi sono stati pensati per una fruizione virtuale, differente rispetto a quello che può essere l’esperienza del contatto reale con l’opera.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
La prima cosa da fare: una gita in bicicletta, magari fino a un fiume, con le persone care, senza rimandare, non dando per scontato alcun attimo.
Una da non fare mai più: smetterla di immaginarci al vertice considerando ogni altra forma di vita qualcosa di cui disporre liberamente.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Purtroppo sono saltate alcune mostre, a due delle quali tenevo in modo particolare. Ma mai dire mai, forse si trasformeranno in altro. E riguardo ad altri eventi stiamo cercando di capire l’evolversi della situazione, per muoverci di conseguenza. Anche con il metaprogetto RAVE stiamo facendo la stessa cosa: restiamo in ascolto.
Poi tra marzo e aprile, come dicevo, ho preso parte a diversi progetti on line sui social: #iorestoacasa a cura di Federica La Paglia, emergencyexit_artinquarantine curato da Adriana Rispoli, It’s Gonna Be #Viral di Five Art Gallery / Rosa Cascone; Art Resistence Kit di that’s contemporary e Ti do la mia parola a cura di Butik Collective.
Però io credo che in generale, e non solo per il mio lavoro, le mostre almeno nel breve-medio futuro saranno da ripensare seguendo approcci nuovi e differenti. Penso quindi alle possibilità dell’arte pubblica, a operazioni visibili non solo all’interno del mondo dell’arte, ma immaginate secondo logiche diverse, seguendo dinamiche e strutture più ampie. Questo, tutto sommato, nella waste land che stiamo attraversando, potrebbe anche farci bene.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Stiamo condividendo un momento di passaggio cruciale, in maniera individuale e collettiva insieme, e penso stia a noi cercare di capire quale sarà il percorso da intraprendere: se quello inedito della coesistenza, della ricchezza delle diversità e del valore di ogni forma e modo di vita in una rinnovata umanità (o per meglio dire postumanità), o perseguire fino alla fine la strada del dominio, sia verso i nostri simili che verso i nostri dissimili, inclusi gli ecosistemi, con le conseguenze che abbiamo già iniziato a vedere.
La dolorosa esperienza che stiamo attraversando, le riflessioni che ne scaturiranno e la possibilità di immaginare nuovi modi di stare al mondo costituiranno scenari inediti capaci di modificare ciò che reputiamo certo. E adesso più che mai abbiamo una grande responsabilità. In particolare, credo che l’arte ora sia chiamata a dare un contributo rilevante, e possa avere un ruolo piuttosto centrale nelle prossime fasi. L’unico aspetto positivo, nel dramma di tanti, è che possiamo riflettere, immaginare, agire. E iniziare a disegnare un futuro ancora non scritto.
Tiziana Pers ha studiato Lingue e Letterature Straniere (110 e lode) a cui è seguito un dottorato di ricerca. Concentra la sua ricerca sui temi del biocentrismo e dei parallelismi tra le diverse forme di dominio: specismo, razzismo, colonialismo, sessismo, violenza sugli ecosistemi, etc., in particolare sulla relazione tra umani e non umani. Molte delle sue opere investigano nodi critici dell’antropocentrismo, andando a immaginare nuove modalità di coesistenza.
Tra gli ultimi eventi: CAPUT CAPITIS I e II, a cura di Gabriela Galati e Pietro Gaglianò con un testo di Gabi Scardi, aA29 Project Room Milano e Caserta; Artefiera Bologna (aA29 project room); Ex Wunderkammern, doppia personale realizzata insieme a Regina Josè Galindo al Museo Nazionale di Storia Naturale di Sofia (BG), Art_History / Vucciria, 2018, performance nell’ambito di Memoria Collettiva per Border Crossing e. c. MANIFESTA 12, Palermo. Video RAVE a THE INDEPENDENT/ NESXT, MAXXI, Roma. Lavora con aA29 Project Room, Milano | Caserta | Reggio Emilia. www.tizianapers.com