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Nico Mingozzi
Nico Mingozzi da Borghi (FC)

La tua nuova ritualità quotidiana…
Ogni mattina, al mio risveglio, guardo uno stupendo panorama dal mio terrazzo, stesso panorama che prima trascuravo o davo per scontato a causa della fretta che caratterizzava ogni giornata. Quest’isolamento forzato mi ha concesso una dilatazione del tempo del quale ho sempre sentito mancanza e bisogno. Il tempo mi sfugge e oggi ne possiedo tanto. La mia giornata, infatti, non è mai stata scandita da rituali o routines… il mio lavoro ha bisogno di vagabondaggio, non in senso letterale ma soprattutto mentale, è spesso proprio da momenti nei quali all’apparenza non accade nulla, non faccio nulla o vago per la casa che si accende una scintilla, la stessa che innesca il mio processo creativo. Ecco, posso dire che l’aumento del tempo e la restrizione solo apparente dello spazio mi hanno permesso di avere più momenti creativi, inaspettati e imprevedibili.

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Non è cambiato niente, lavoravo in completa solitudine prima come ora.

Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Interagisco molto di più con la cucina, in particolare il frigorifero, e anche con pc e smartphone per necessità. Questo tempo aumentato mi permette sia di lavorare di più sia di poter promuovere maggiormente il mio lavoro sui social.

Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Sto riscoprendo che l’isolamento è una crescita. Gli impegni quotidiani, non solo lavorativi ma anche tutti quelli necessari al vivere in società, spesso si accumulano e senza che ce ne accorgiamo ne siamo sommersi e sopraffatti. La solitudine mi permette una maggiore introspezione, un confronto non sempre facile, lo ammetto, con me stesso che favorisce il mio lavoro. Naturalmente le mie opere, oltre a vivere di introspezione, si nutrono molto dell’osservazione della società, delle persone… perciò credo che sentirò a breve il bisogno di un ritorno nel mondo.

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Da fare: un viaggio. Da non fare mai più: rinunciare ad un viaggio.

Nico Mingozzi nato a Ferrara, vive e lavora sulle colline cesenati. Dopo aver frequentato l’istituto d’arte Dosso Dossi, inizia un percorso artistico spaziando dal fumetto alla pittura metafisica. Nel 2011 inizia un nuovo percorso con un’imponente serie di fotografie, bianchi e neri di inizio ’900, scovati in qualche mercatino dell’usato. La scelta della foto innesca il processo creativo che lo conduce a deturpare/distruggere l’immagine e, potremmo dire, la superficialità di ciò che appare, per far sì che la figura possa accedere ad un nuovo, conturbante status e svelare il monstrum che può celarsi dietro la convenzionalità di ciò che appare. L’uso di tecniche più disparate, dalla china all’acrilico, fino al graffio, alle puntine, dal nastro adesivo al sangue, stabilisce un legame con varie sperimentazioni novecentesche e richiama alla mente la figura di un “sarto” che ricuce e restituisce alle immagini una nuova identità, lacerata, dolente e atroce. Attualmente collabora con diverse gallerie, tra le quali D406 di Modena, Luisa Catucci di Berlino, Raffaella De Chirico di Torino, con quest’ultima sta lavorando a diversi progetti in Messico.