Nataly Maier da Milano
La tua nuova ritualità quotidiana…
Le cose normali sono diventate importanti: dormire, mangiare, telefonare. Per lavorare manca la concentrazione, e il materiale disponibile per dipingere è limitato. Errori e sprechi non sono consentiti. Aspetto con ansia il bollettino della Protezione Civile delle 18.00, mentre alle 19.00 comincia il mio highlight della giornata, “il Hauskonzert” del pianista Igor Levit. Ho la fortuna di convivere con il mio compagno che cucina molto bene, e ora è venuto il momento di nutrirci soprattutto della ben fornita dispensa, frutto dell’intenso lavoro di preparazione di conserve estive.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Succede uno strano fenomeno. In genere si lavora meglio con una deadline o un progetto preciso, e siamo abituati a darci una disciplina. Adesso, invece, sembra che manchi l’interlocutore, la visione del futuro. La situazione mi ricorda l’estate del 1999, il momento dell’eclisse totale vissuto in Basilicata. Intorno alla controra si fermavano tutti i suoni e la luce si trasformava non in buio, ma in “non luce”. Un momento fermo, stagnante. I lavori che ho realizzato in questo periodo di chiusura si sono creati senza che me ne accorgessi. Una sera ho cominciato a lavorare quasi al buio, non accendevo la luce per non svegliarmi… Se in genere mi preoccupo della contemporaneità della pittura, in questi giorni ho avuto la prova che la pittura è sempre figlia del suo tempo. Se è profonda, tocca qualcosa di universale.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Ahimè, ho annusato i media, questo pozzo di mondo, questa incubatrice di sentimenti che vengono scambiati per opinioni. A mio avviso una fonte dei nostri attuali problemi democratici. Ho sempre pensato che i social fanno male alla creatività: “dalla noia nasce la rosa…”.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
I primi tempi mi illudevo che questa crisi avrebbe migliorato il mondo, che si sarebbe compreso che il nostro pianeta è una barca, e non una miniera, e che pochi cambiamenti, come un’agricoltura biologica, avrebbero potuto risolvere tanti problemi. Temo che il mondo digitale vincerà la partita. Quello che di positivo si è compreso è l’importanza della cultura. Ci nutriamo d’arte come di cibo.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi potranno essere le conseguenze a lungo termine?
Avrei dovuto aprire tre mostre in questo periodo, di cui una a Göttingen, e sarei andata a vedere la mostra di Monet a Potsdam che dorme nel buio come la mostra di Raffaello a Roma.
Nataly Maier (Monaco di Baviera, 1957) studia fotografia a Monaco. Nel 1982 si trasferisce a Milano, tiene la prima mostra alla galleria l’Attico di Fabio Sargentini a Roma con le sue fotosculture, dedicandosi al superamento bidimensionale del linguaggio fotografico. Nel suo percorso resta costante il modo di procedere per strutture duali: nei suoi dittici separa l’immagine dal suo colore. Oggi usa per la pittura l’antica tecnica della tempera all’uovo. Espone in numerose mostre in Germania, in Italia e all’estero (nel 2001 alla Villa Romana a Firenze; nel 2015 alla Fondazione Antonio Calderara; a Vacciago e alla Soeffger Gallery a St. Pauls, Minnesota e alla Taylor Galleries a Dublino). Lo scorso anno ha ricevuto il Premio Michetti a Francavilla al Mare. Vive e lavora tra Milano e Starnberg. Le sue gallerie di riferimento sono: Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano; Artesilva, Seregno (MB); MEB Arte Studio, Borgomanero (NO). Prossimamente aprirà una mostra da Antonella Cattani contemporary a Bolzano, e l’associazione M.Ar.Co la dedicherà il suo terzo episodio alle Argenterie reali alla Villa Reale di Monza. www.natalymaier.com