Leonardo Regano da Bologna
La tua nuova ritualità quotidiana…
Fare i conti con il distanziamento sociale. L’attuale situazione ha sdoganato le lunghe file e le attese in ogni aspetto della nostra quotidianità. Se fino a ieri tutto doveva essere “fast”, oggi torniamo per necessità allo “slow” anche solo per comprare un biglietto dell’autobus. Quello che mi chiedo è: fino a quando reggeremo?
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Siamo stati proiettati in un tempo alterato, senza momenti di pausa, dove le giornate trascorrevano tutte uguali tra loro. La percezione è stata quella di vivere in un momento unico, dilatato e sospeso dove il tempo era scandito dal ritmo biologico e non dagli impegni che si susseguivano, come invece accadeva in precedenza. Ho imparato a fermarmi a osservare il cielo, a leggere un libro solo per il piacere di farlo o vedere un film senza la preoccupazione di una mail a cui rispondere. Ho vissuto quasi più una vacanza, nella fortuna di un lavoro che non è mai mancato per quanto alternato ad alcuni momenti di pausa. La mia concezione dello spazio invece si è praticamente annientata, costretto e rinchiuso in pochi metri quadrati; l’unico momento di sfogo è stato il guardare fuori dalla finestra o il cercare una realtà diversa, virtuale o immaginaria. Per paradosso oggi, quando ormai tutto questo è praticamente terminato, provo un forte senso di straniamento nell’uscire da questa comfort zone e tornare a vivere la vita come era prima.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Mi sono interrogato a lungo su questo aspetto. Di certo non si può sostenere che digitalizzazione e virtualità siano in grado di sostituire la fruizione diretta dell’opera d’arte. La loro enorme diffusione in questo periodo è quindi dovuta a un altro aspetto. C’è di fondo una paura che ci ha mossi tutti in questa direzione ed è stata quella di essere dimenticati o, meglio, di essere considerati come un servizio superfluo per la società. E senza ipocrisie, la colpa di questo è solo nostra, non del pubblico. L’arte è divenuta “superflua” perché non siamo stati sufficientemente comunicativi. Soprattutto noi che ci occupiamo delle arti visive. Ci siamo arroccati su un piedistallo dove il nostro lavoro è diventato solo per pochi, dove si scrive solo per gli addetti ai lavori, dove si vende solo a gente con una determinata cultura e una certa disponibilità economica. Chi, di contro, ha fatto della comunicazione al pubblico (e perché no, anche dello sbigliettamento) il proprio obiettivo è sempre stato visto come un fastidioso produttore di mainstream. Il mio non è un invito alla banalizzazione dei contenuti ma è un mea culpa dal quale credo non ci si possa esimere se vogliamo ripartire e risanare gli errori del passato. Penso a quella triste gaffe del Presidente del Consiglio per il quale gli artisti sono solo “quelli che ci fanno divertire”. In quel momento, credo che Giuseppe Conte abbia rappresentato il sentire comune alla maggioranza degli italiani per i quali esiste l’artista performativo, l’attore o il danzatore che vive per la comunicazione e per il rapporto diretto con il pubblico, mentre noi addetti alle arti visive siamo solo un contorno, anche un po’ sfumato se vogliamo. Quindi ben venga oggi iniziare a pensare a nuovi modi per accogliere i visitatori nei musei e nelle gallerie e farli sentire al centro di un sistema e non più la sua parte “eccedente”; e bisogna fare questo anche con video e contenuti più empatici in cui siano sempre più spesso le persone a parlare (direttori, curatori, mediatori, studenti) e a creare i contenuti, che non possono essere più ridotti a semplici post di immagini e testi – tra l’altro spesso molto tecnici e poco accattivanti. Ed è questa la “strategia” che personalmente sto percorrendo, collaborando qui a Bologna come storico dell’arte con istituzioni locali per la realizzazione di video che raccontino le loro collezioni al pubblico (l’ultimo per la Raccolta Lercaro) e come curatore presentando oggi una mostra alla Galleria Studio G7, dove ragiono proprio su questo tema, sul ruolo delle immagini in questi mesi di lockdown, dando l’opportunità al visitatore di mettere direttamente a confronto durante la visita in galleria i due momenti di visione: quello mediato attraverso le nuove tecnologie per mezzo di un visore per la realtà virtuale; e quello dell’incontro diretto con le opere e con il curatore che si fa mediatore culturale e accoglie uno per uno i visitatori in mostra.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Avrei voluto risponderti che oggi c’è meno frenesia e più rispetto per le “attese creative”. Ma il rallentamento delle pressioni con cui siamo normalmente abituati a confrontarci credo sia ormai già finito e siamo davvero molto vicini a recuperare i ritmi precedenti.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Una cosa da fare è subito tornare a viaggiare; una da non fare mai più è mangiare pipistrelli e pangolini (spero).
Leonardo Regano (Bari, 1980. Vive e lavora a Bologna). Storico dell’arte, museologo, critico e curatore indipendente interessato alle pratiche di relazione tra arte e paesaggio urbano, agli studi di genere e alle nuove generazioni. Ha curato mostre per Istituzioni pubbliche (tra cui Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, Bologna; Mar – Museo d’Arte della Città di Ravenna; Museo di Palazzo Poggi, Bologna; Polo Museale dell’Emilia-Romagna) e realtà private e gallerie (tra le più recenti collaborazioni quelle per Traffic Gallery, Bergamo; Galleria Studio G7, Bologna). È stato tra i coordinatori del Progetto Zero… Weak Fist di Patrick Tuttofuoco, vincitore dell’Italian Council 2017. Nel 2018 ha coordinato la residenza bolognese di Helen Cammock, vincitrice della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women. Dal 2013 è curatore degli eventi che il Laboratorio Degli Angeli dedicato, durante Arte Fiera, alle problematiche del restauro del contemporaneo. Attualmente è curatore della mostra collettiva Chiaroscuro alla Galleria Studio G7 di Bologna. www.leonardoregano.com