Silvia Giambrone da Roma
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Ciò a cui ho dedicato più spazio è senz’altro la cura per me stessa e il dialogo con gli altri. Diceva Borges: “Ci unisce la paura non l’amore, sarà per questo che io l’amo così tanto”. Questa situazione ha messo ognuno di noi di fronte alla propria fragilità e alla caducità del tutto e queste sono condizioni di privilegio perché sua maestà la paura reclami la sua corona. È una ottima occasione quindi per avere paura ma anche per uscirne insieme agli altri.
Credo che quelli con i quali siamo tanto in contatto in questo periodo, quelli che abbiamo nostro malgrado scelto come interlocutori e con cui abbiamo approfondito il dialogo, saranno da noi considerati i nostri compagni quando nel futuro, guardandoci indietro, ci sentiremo forse dei sopravvissuti.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Che sto invecchiando, che anche se non ho ancora 40 anni se sto tanto seduta mi fa male la schiena. Scherzi a parte, onestamente niente che non sapessi già, ciò che forse ha prevalso però è stata l’intensità con la quale quelle che Gozzano chiamava le buone cose di pessimo gusto si sono manifestate. Le cose più semplici si sono caricate di significati profondi, di pesi rinnovati, e si è dovuto rinegoziare con la loro importanza giorno dopo giorno, ora dopo ora.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Vorrei immaginare che circostanze come queste abbiano stimolato, se non addirittura forzato, una onesta disamina dei valori da coltivare e quelli da abbandonare, pertanto vorrei immaginare un paese nel quale il valore dell’arte venga riconosciuto dallo Stato in maniera più concreta attraverso iniziative come il welfare agli artisti o altre che permettano all’arte di essere quello che dovrebbe essere, come già accade da tanto tempo in Germania o in altri paesi europei invece che la guerra tra poveri a cui siamo tristemente abituati in Italia.
Se immaginare tanto significa delirare allora mi accontento di vivere in un paese nel quale la Lega perda completamente consenso e dove vi sia più coscienza ecologica e sociale.
Silvia Giambrone è nata ad Agrigento (1981); vive e lavora tra Roma e Londra. Lavora con performance, installazione, scultura, video, suono. La sua ricerca è incentrata sull’addomesticamento alla violenza e sulle forme sotterranee di assoggettamento. È ambasciatore per Kaunas 2022. Vince il Premio VAF 2019. Alcune tra le sue mostre più significative includono: Eurasia, Mart, Rovereto (2009); Moscow Biennale: Qui vive? (2010); Critica in arte, Museo MAR, Ravenna (2014); W Women in Italian Design, Triennale Design Museum, Milano (2016); Corpo a corpo, La Galleria Nazionale, Roma (2017); Terra mediterranea: in action, NiMAC, Cyprus (2017); Feminism in Italian contemporary art, Richard Saltoun Gallery, London (2019); Sovvertimenti, Museo 900, Firenze (2019); Io dico Io, La Galleria Nazionale, Roma (2020). Lavora con Richard Saltoun Gallery a Londra, Galleria Marcolini a Forlì e Studio Stefania Miscetti a Roma.
www.silviagiambrone.com