Luca Coser da Trento
La tua nuova ritualità quotidiana…
Ho terminato il mio semestre di insegnamento a Brera poco prima delle limitazioni virus, quindi di nuovo c’è poco. Rispetto a prima, per quello che tu definisci ritualità, i cambiamenti sono minimi. Sono metodico, mi sveglio e vado in studio, faccio partire la musica, o la radio, lavoro oppure faccio poco, leggo, metto in ordine, telefono, qualche collegamento online con i ragazzi dell’Accademia. Insomma, sto soprattutto con me stesso, spero in modo efficace, poi torno a casa.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Non trovo che questo sia un periodo particolarmente creativo. Non lavoro sulla cronaca o sulla comunicazione o sulla sociologia, quindi dal punto di vista culturale su di me il virus ha avuto poca presa. Da molti anni lavoro attorno a poche idee, sempre quelle, ossessivamente, attorno a degli enigmi, a dei misteri che coinvolgono il mio rapporto con la pittura, con le immagini del mondo a cui cerco di dare un senso. Tutto qui. Non è qualunquismo, sia chiaro, non sono così scontato.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Interagisco con la casa dove vivo, con lo studio dove dipingo. Se vogliamo, con l’automobile che mi sposta da casa a studio e viceversa, che sembra banale ma non lo è, è il mio rapporto reale e non virtuale col territorio, in movimento, attraverso lo sguardo. Anche gli oggetti, per quanto riguarda l’arte, sono i soliti… Gli strumenti della pittura e del disegno, lo stereo, la mia Fuji X100T, il computer, i libri.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Credo che questo possa essere un tempo molto penetrante per i giovani, nel pieno della loro formazione. Per quanto mi riguarda, invece, non si sta rivelando particolarmente incisivo, casomai più modestamente disagevole. Di mio ha scoperto o riscoperto poco. Ho vissuto delle paure e delle ansie che non conoscevo, nient’altro. Invece, di questo tempo bastardo mi ha cambiato molto una sua conseguenza, la morte di mia madre, che il virus si è portata via. Sì, questo mi ha cambiato.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mi manca mia madre. Per il resto, né più né meno quello che mi mancava prima. Assenza e mancanza, oblio, sono argomenti della mia poetica da trent’anni. Certo, mancano la libertà di movimento e il contatto con le persone, lo “stare fuori”, come per tutti, è ovvio, ma non serve dirlo.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Nessuna, o meglio, le stesse di prima. Non che il resto del mondo dell’arte faccia grandi cose. Diciamo che nel nostro mondo, quello dell’arte, fingiamo di reagire, di lavorare su nuove prospettive, ma senza grandi risultati. Se riprenderà il mercato si tornerà alle dinamiche di prima, altrimenti si farà arte senza il mercato o con un mercato più debole; in questo caso chiuderanno molte gallerie, spariranno molti facili artisti, quelli che aspettavano il virus per dare il meglio. Poi, il fatto che un sacco di gente faccia nuove proposte online significa soltanto che qualcosa deve fare, in molti casi si è chiusa la bottega ma non il lavoro. Guardo la Pinacoteca di Brera online, virtuale 3D, e chi se ne frega; se non posso guardare il Cristo Morto del Mantegna dal vivo, a cosa mi serve guardarlo online? Prima, se non dal vivo, lo guardavamo sui libri, magari accompagnato da un testo di Berenson e senza clamori, se ricordo bene.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Come prima, peggio. Non parlo di specifici gruppi, parlo dei cittadini, della cosiddetta società civile. Sono ottimista ma non ingenuo, non credo ci aspetti il Medioevo ma nemmeno un mondo più giusto, almeno non nel breve periodo. Il cambiamento lo farà eventualmente un lento processo culturale, di cui il virus sarà uno dei tasselli. Di certo, nell’immediato aumenterà la contrapposizione tra potere e desiderio, i ricchi rimarranno ricchi e i poveri saranno più poveri, in mezzo svariate ansie.
Sono nati nuovi luoghi e spazi alternativi di coesione intorno a te?
Sì, di carattere ricreativo. La mia vicina, una ginnica, nel pomeriggio organizza momenti condivisi di fitness, la peggio musica sparata a palla, lei sola in cortile, tutti gli altri sui balconi. Che in fin dei conti, mette fiducia nelle persone e ti fa pensare che le cose possono anche cambiare.
Luca Coser è nato a Trento nel 1965. Vive tra Trento e Milano, dove insegna all’Accademia di Belle Arti di Brera.
La sua prima collettiva significativa è del 1985, a cura di Danilo Eccher, la sua prima personale del 1989, negli spazi della galleria Ponte Pietra di Verona. Da allora ha esposto in numerose gallerie pubbliche e private in Italia e all’estero.
In questi giorni malati ha in ballo tre progetti “chiusi”: una personale a cura di Gilda Contemporary Art negli spazi della Banca di Asti, a Milano, e due collettive, una a cura di Azzurra Immediato negli spazi del Museo d’Arte Moderna della Moldavia, a Chișinău, una a cura di Gabriele Salvaterra negli spazi di Area45 Contemporary Art, a Milano.
Il suo lavoro è oggi rappresentato da Gilda Contemporary Art, Milano; CRAG Gallery, Torino; Kips Gallery, New York.
www.lucacoser.net