«L’epica della boxe, definita nel ‘700 noble art of self defense, bene si applica a un paragone con la pittura, seppure quest’ultima abbisogni d’essere emendata in nobile arte della sopravvivenza. Il pittore-pugile che stoicamente intraprende il duello non ambisce alla “borsa”, bensì mette in gioco la propria “ghirba” […] Inizia così una impavida lotta a mani nude, perchè la grande versatilità della pittura non può essere ricondotta soltanto agli strumenti del fare, né limitarsi semplicemente allo Zeitgeist. Al di là dei generi e degli stilemi, esiste un’evidente prossimità/promiscuità che si ciba, senza fine, senza tregua, senza requie, di memorie e di immagini, di demoni e di analogie, diventando a suo modo una tematica ed una metodica. Fintantoché istanze di motivi pregressi perdureranno indenni tra i paradigmi del presente […] il disegno frammentario di Pellegrini potrà riallacciarsi alla materia erosa di Samorì e a sua volta sublimarsi nelle laviche pennellate di Maggis, sancendo un ipotetico quanto ideale filo rosso che si snoda lungo tutta la storia dell’arte.»
Tratto dal testo Sine qua non di Alberto Zanchetta.
Volume realizzato in occasione della mostra Sine Die presso il Museo d’Arte Contemporanea di Gibellina (2007).