Volume pubblicato in occasione della mostra “Gohar Dashti. Fragile, handle with care”, a cura di Silvia Cirelli, Galleria Officine dell’Immagine, Milano, 8 febbraio – 24 marzo 2018.
Da sempre attenta al confronto con tematiche socioculturali, identitarie, comportamentali e geopolitiche che interessano non solo la realtà iraniana – a cui è certamente legata – ma che riguardano in generale la storia culturale attuale, Gohar Dashti traduce in arte la precarietà di un momento storico segnato dal senso di sradicamento, l’incomunicabilità fra le persone e il bisogno di appartenere.
Con una raffinatezza lessicale strettamente connessa a un’implicita connotazione autobiografica, e una simmetria creativa audace e incisiva, dove l’estetica dell’allegoria si scopre come costante elemento focale, la narrazione di questa giovane fotografa arriva all’autentica essenzialità emotiva, denudando completamente le vulnerabilità umane.
Fragile, handle with care raccoglie le sue ultime serie fotografiche, progetti artistici dove la consueta presenza umana, alla quale Gohar Dashti ci aveva da sempre abituati, viene completamente abbandonata. Non ritroviamo più, infatti, quella componente umana dalla morfologia emozionale quasi commovente. Ora, è la forza prepotente e allo stesso tempo precaria della natura a vincere la scena, una natura che cerca di riconquistare il proprio ruolo, per restituire all’uomo quella memoria culturale da troppo tempo persa.
Nella serie “Home”, questo equilibrio identitario regala ambientazioni dalla sublime raffinatezza, luoghi dimenticati che però continuano ad assorbire il melanconico potere della natura. Un’energia vitale dall’incontrollabile intensità sembra voler riempire un vuoto silenzioso, insinuandosi in ogni angolo recondito, come se le proprie radici si fossero finalmente liberate da qualsiasi costrizione.
Anche nel progetto “Still Life” l’artista esalta la consistenza del mondo naturale, questa volta però, destrutturandone la sagoma, allo scopo di offrirne una più personale e intima fisionomia. Piante e rami di vario genere vengono dunque spezzati, sgretolati, per poi essere mostrati in una nuova “veste”, una nuova bellezza quasi più umana, che vegetale.